Paolo Giovio
Paolo Giovio deve la sua fama alle Historiae sui temporis e alla straordinaria collezione di ritratti, conservata presso la villa-museo di Como. Dopo aver studiato medicina tra Padova e Pavia, si trasferì a Roma. Una curiosità intelletuale insaziabile lo portò a comporre trattati come il De romanis piscibus (1524) e il De optima victus ratione (1527), e, più tardi, il famoso Dialogo delle imprese (1555). A Roma visse la devastazione del sacco del 1527 e súbito dopo fuggì a Ischia presso Vittoria Colonna dove compose il Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus. Per sollecitare un nuovo progetto di crociata, scrisse il Commentario de le cose de’ Turchi (1531), in cui dimostrò di saper valutare l’impatto del Vicino Oriente sulla politica europea. Dopo la morte di Clemente VII e del cardinale Ippolito de’ Medici, Giovio trovò un nuovo punto di riferimento nel cardinale Alessandro Farnese con il quale discusse a più riprese un progetto per la libertas Italiae fondato su un’alleanza tra il papa e l’imperatore. Del resto, l’esplicita difesa della politica imperiale e un sostanziale disinteresse nei processi di riforma della Chiesa, lo portarono ben presto allo scontro con Paolo III, che gli negò i benefici del vescovato di Como e di fatto lo costrinse a ritirarsi, nel 1549, nella sua casa sul Lario. L’anno successivo si spostò a Firenze alla corte del duca Cosimo, dove mise mano definitivamente alle Historiae. Il primo libro fu approntato per i tipi di Lorenzo Torrentino mentre la stampa del secondo volume fu completata nella tarda estate del 1552, pochi mesi prima della morte che avvenne nella notte tra l’11 e il 12 dicembre.